Carissimi amici,
se pensavate che su questo blog si parlasse solo ed esclusivamente di carne (che palle 😉), vi sbagliavate di grosso.
Tempo permettendo, mi piacerebbe approfondire alcune tematiche del mondo agroalimentare, sfruttando anche un po’ quelle che sono le competenze dei miei due figlioli, entrambi laureati in Scienze e Tecnologie Alimentari.
Qualche settimana fa, nel mentre che sfogliavo slide e leggevo qualche appunto di politica agroalimentare di Matteo, mi sono imbattuto su un tema di cui vorrei parlarvi in questo breve articolo.
Italian Sounding, vi dice qualcosa?
Anche se magari in questo momento il termine non vi dice nulla, son sicuro che viaggiando o abitando all’estero vi siate accorti di tale fenomeno.
Come ben sapete, i prodotti agroalimentari made in Italy sono ricercatissimi non solo da noi italiani (e di questo ce ne rendiamo conto sempre di più ogni qual volta mettiamo il naso fuori dal Bel Paese) ma anche dai consumatori di tutto il mondo.
Di conseguenza, se da un lato tale apprezzamento fa registrare ogni anno un costante aumento dell’export di prodotti alimentari (Ismea 2018) dall’altro lato porta alla problematica delle contraffazioni e dell’Italian Sounding, appunto.
L’Italian Sounding (IS) o “business del fake” consiste nella produzione e nella distribuzione di prodotti alimentari esteri che, presentando sulle etichette e sulle confezioni nomi, immagini, colori, o simboli, richiamano erroneamente l’italianità.
Premetto che non so se vi sia mai capitato di andare all’estero in un supermercato e vedere l’imitazione di alcuni prodotti italiani, sono però sicuro al 99% che vi sarà capitato di imbattervi in attività commerciali (pizzerie, gelaterie o ristoranti) che, sebbene dall’insegna, dalla vetrina o dal menù richiamassero i colori e i simboli del nostro Paese, di italiano non avevano alcunché.
Beh, questo è un caso di Italian Sounding!
Nello specifico questo “business del fake”, che per altro ha un giro di affari annuale di 50-60 miliardi di euro (Fonte: Feder Alimentare), oltre che in alcuni paesi europei, ha trovato terreno fertile e continua a diffondersi soprattutto in Paesi extra Ue come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e l’America Latina, paesi che non a caso sono state le mete di emigrazione più gettonate e dove le comunità italiane sono più radicate.
Proprio in questi Paesi, infatti, molte aziende locali scorrette pagano migranti italiani per avere in cambio informazioni sul processo produttivo dei prodotti italiani con lo scopo di imitarli al meglio e metterli sul mercato ad un prezzo nettamente più basso.
Va da se che questo atteggiamento di concorrenza sleale, non permettendo all’aziende italiane di riuscire a penetrare il mercato, causa non solo una perdita di fatturato notevole ma altera l’idea che un consumatore estero può avere sul vero made in Italy.
Tra i prodotti agroalimentari italiani d’eccellenza quelli maggiormente contraffatti sono il vino, l’olio, i formaggi tipici, i salumi, la pasta, i sughi, la pizza, la polenta e tantissimi altri.
“Ma come fanno? I consumatori dei quei paesi non se ne accorgono?”, giustamente starete pensando.
In realtà no perché i consumatori locali, per mancanza di conoscenza e di cultura culinaria, pensano che siano davvero prodotti italiani!
Ecco che allora in molte parti del mondo, i consumatori sono convinti che il "Parmesan" sia il nostro Parmigiano Reggiano (foto), che il "PriSecco" sia il nostro Prosecco e che la "Palenta" sia la nostra Polenta.
E finisco qui perché di prodotti italian sounded ce ne sono davvero tanti, troppi. Purtroppo.
È indispensabile quindi agire al fine di limitare questo spiacevole fenomeno.
Come?
Oltre alle disposizioni comunitarie passate e future (dal 2020), sono state attuate alcune strategie immediate quali:
1. campagne promozionali strategiche nei mercati in cui l’IS è più diffuso al fine di fidelizzare e di informare il consumatore locale circa le caratteristiche qualitative, nutritive e salutistiche dei prodotti italiani;
2. utilizzo di App per smartphone, che aiutano i consumatori di tutto il mondo a riconoscere, grazie alla scansione del codice a barre, se il prodotto è un vero Made in Italy. (es. Authentico)
Con la speranza che la nostra cultura e tradizione culinaria venga salvaguardata in tutto il mondo, non mi resta che concludere così:
GOD SAVE ITALIAN FOOD!
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